CAPITOLO I

FRANCESCO

Francesco Forgione, il futuro padre Pio, nacque a Pietrelcina il pomeriggio del 25 maggio 1887, da Grazio Maria e Giuseppa De Nunzio e il giorno dopo fu portato al fonte battesimale.

Pietrelcina «tutta nel mio cuore»

Nessuno o pochi sanno chi sia padre Pio Forgione, ma tutti conoscono ed amano padre Pio da Pietrelcina.

Cittadina a pochi chilometri da Benevento, sita in una zona collinosa del Sannio, dagli orizzonti aperti, abitata da gente laboriosa, cordiale ed espansiva, che svolge principalmente la sua vita al ritmo dei lavori campestri, temprata dal solleone meridionale e dai venti gelidi invernali.

Francesco venne alla luce nella vecchia Pietrelcina, in rione Castello, ove dimorava la famiglia Forgione.

Case secolari, poggiate sulla roccia dal caratteristico colore oscuro che, nel vecchio borgo, affiora da ogni dove.

Quella di Grazio Maria è un'abitazione dalle sparse membra: stanza ove nacque Francesco, sita in Vico Storto Valle; sempre nello stesso vicolo: cucina e camera da letto e la celebre torretta; in via S. Maria degli Angeli, una casa più comoda e sita in luogo più felice.

In questi locali padre Pio visse la sua infanzia, adolescenza, e trascorse la convalescenza e i suoi primi anni di sacerdozio, dal 1910 al 1916.

Oggi nel paese esistono tre chiese: S. Maria degli Angeli, parrocchia; S. Famiglia, chiesa cappuccina e convento; e la chiesa di S. Anna, nel rione baronale, ove Francesco divenne cristiano e soldato di Cristo (fu cresimato il 27 settembre 1899), ricevette la prima comunione e si estasiava davanti a Gesù sacramentato.

Come Pietrelcina era ed è piena tutta di lui, così padre Pio rinserra tutta Pietrelcina nel suo cuore: «Salutatemi tutta Pietrelcina, che tengo tutta nel mio cuore — scrive al fratello Michele —. Le benedizioni del Signore scendano larghe e copiose su tutti e tutti si rendano degni delle odierne ed eterne promesse» (22 dic. 1926).

Zi' Razio e mamma Peppa

Zi' Razio (1860-1946) e mamma Peppa (1859-1929) richiamano straordinariamente i genitori di Giacinta e Francesco Marto di Fatima, soprattutto per la cordiale amabilità, per l'ospitalità, rettitudine e vera dignità campagnola.

Grazio non perse mai l'allegria, condita di scherzi innocenti e facili battute; di intelligenza sveglia, che traduceva lesto ogni pensiero in azione; dalla parlata dialettale sonora e sciolta, asciutto, rotto al duro lavoro, statura media, occhi vivi e parlanti, dai modi — a volte — rudi e sbrigativi, viveva la sua fede sinceramente.

Quando Francesco espresse il desiderio di voler continuare gli studi per «farsi monaco», non tentennò ad allontanarsi da casa, pur di guadagnare il necessario per il figlio studente.

Allora il peso della famiglia ricadeva tutto sulle spalle di mamma Peppa, occhi chiari, lineamenti corretti, corpo snello come un'adolescente, dal colloquio — nel suo ostico vernacolo — di una grazia ammirevole; in bianca camicetta o, a seconda delle stagioni, avvolta nello scialle, con il bianco fazzoletto in testa, sempre fresco di bucato, secondo l'usanza paesana: «era una popolana — dicono i pietrelcinesi — ma aveva tratti da gran signora»: la sua ospitalità era sempre «larga, signorile, pur nella sua semplicità».

Anche lei — come il marito — sapeva tenere allegra compagnia, frequentava la chiesa, come tutte le altre buone cristiane del paese; ed in quella casa così minuscola, ove sembra che le mura ti accarezzino e ti scaldino col loro respiro, mamma Peppa sfaccendava da mane a sera, quando i lavori campestri non la richiedevano altrove, per tirare avanti dignitosamente la famiglia; e ci riusciva così bene, da non fare impensierire il marito lontano.

In questo ambiente, le cui umili origini appaiono evidenti ovunque, nacque e crebbe Francesco, sereno e tranquillo: «Nella mia famiglia — ricordava padre Pio nell'età attempata — era difficile trovare dieci lire, ma non mancava mai nulla».

Ragazzo calmo e riservato

Mamma Peppa ci dice che il piccolo Francesco era un bimbo «calmo, quieto» e «man mano che cresceva non commetteva nessuna mancanza, non faceva capricci, ubbidiva sempre a me ed a Grazio».

Lo stesso padre Pio raccontava che i genitori non lo hanno mai picchiato. Qualche volta la mamma gli diceva solo: «Vieni qua, svergognatello!...». «Perché?», gli fu domandato. «Piccole cose con le sorelle», rispose.

A volte la mamma lo esortava a giocare con i coetanei, ma il suggerimento non era sempre accettato: «Non ci voglio andare — rispondeva — perché essi bestemmiano».

Grandicello, sceglieva con sano criterio: evitava i compagni dall'«occhio falso», ci fa sapere un coetaneo e pastore come lui, perché i genitori di Francesco, appena lo reputarono capace, gli affidarono due pecore.

Durante il pascolo, se era solo recitava anche il rosario; se in compagnia di altri pastorelli — sono essi che ce lo dicono — si divertivano con la creta «facendo casette, carretti ed altri oggetti» e Francesco modellava di preferenza san Michele e, verso Natale, i pastorelli per il presepe e il Bambinello: «Quando ne aveva fatto uno, lo metteva sul palmo della mano, lo guardava a lungo e poi diceva: "Non è venuto come volevo io" e impastava la creta per farne uno più bello».

Tra i giochi innocenti non mancava neppure la lotta, non quella rissosa, ma la sola giocosa. «Allegro anche da piccolo, con la giacchettella alla cacciatore, di panno di lana, con una mozzetta corta e sempre pulita», ben voluto dai compagni, perché «era un ragazzo come tutti gli altri», ma di quelli educati e piuttosto riservato: disse mai parole cattive e non ne voleva sentire, perciò evitava i compagni «dall'occhio falso, voglio dire gli scostumati dalla parola facile, gli insinceri, quelli che non erano buoni e bravi ragazzi».

Tipo asciutto ma non malato, di carattere remissivo e piuttosto riservato: «Francisco è stato sempre "nu lupo surdo" voglio dire di poche parole e non faceva mai appurare i fatti suoi». Era «fino, fino», completa il discorso un altro compagno pastore, «e dovete sapere che noi la sera andavamo anche a scuola» e la lezione la sapeva soltanto Francisco, perché soltanto lui studiava durante il giorno.

Al tempo di Francesco a Pietrelcina vi erano soltanto le prime classi elementari, mai frequentate da lui, sempre studente fuori corso. Apprese a leggere ed a scrivere da un contadino, munito del solo titolo di quinta elementare e quando decise di «farsi monaco», abbandonate le pecore, continuò lo studio da maestri privati.

Il dito di Dio

Non abbiamo l'idea che padre Pio sia nato santo, però anche se si evita di vedere il dito di Dio dovunque e in tutti i momenti nella vita di un santo uomo, si è pure obbligati a costatare che alcuni di questi momenti sono stati privilegiati.

Assiduo chierichetto, Francesco «pregava in ginocchio e ben composto» ed anche a porte chiuse, d'accordo col sacrestano.

Non sempre dormiva a letto, che a volte la mamma trovava intatto la mattina, perché «il figlio preferiva dormire a terra, avendo per capezzale una pietra».

Si batteva anche con una catena di ferro, «funzione che ripeteva spesso», testimone la stessa mamma, che un giorno si turbò alla vista di tale spettacolo: «Ma perché, figlio mio, ti batti così? La catena di ferro fa male». E Francesco: «Mi debbo battere come i Giudei hanno battuto Gesù e gli hanno fatto uscire il sangue sulle spalle».

Dall'amore alla preghiera ed alla solitudine sbocciava la sete di sofferenza e di espiazione, che con l'andar degli anni avrebbero affondate le loro radici sempre più nella vita di padre Pio: era una preparazione alla sua missione corredentrice.

Si mortificava, imponendosi penitenze che procurano un relativo patimento. Sopportava serenamente le sofferenze causategli dai compagni di scuola per un bigliettino amoroso scarabocchiato da una scolara e nascosto nella tasca di Francesco, a sua insaputa; e da un chierichetto che per invidia lo accusa con una lettera anonima presso l'arciprete, inventando l'amore di Francesco con la figlia del capostazione, ragazza che lui neppure conosceva.

Il Signore, poi, faceva il resto, aiutando quell'adolescente a camminare per la via che mena al Cielo: «Le estasi e le apparizioni — fa sapere un padre spirituale — cominciarono al quinto anno di età, quando ebbe il pensiero ed il sentimento di consacrarsi per sempre al Signore, e furono continue. Interrogato come mai le avesse celate per tanto tempo (sino al 1915), candidamente rispose che non le aveva manifestate, perché le credeva cose ordinarie che succedessero a tutte le anime; difatti un giorno disse ingenuamente: "E lei non la vede la Madonna?". Ad una mia risposta negativa, soggiunse: "Lei lo dice per santa umiltà!". A cinque anni cominciarono pure le apparizioni diaboliche e per quasi venti anni furono sempre in forme oscenissime, umane e soprattutto bestiali».

* * *

Carismi divini e cooperazione umana: questo ci insegna padre Pio, sin dai primi anni di sua vita. Come non nutrì rancore per gli scolari sbarazzini e per l'invidioso chierichetto — che poi si pentì, vinto dalla bontà di Francesco —, così anche dopo: «Mai mi è passato per il pensiero — può confidare al suo padre spirituale — l'idea di qualche vendetta: ho pregato per essi (i suoi denigratori) e prego. Se mai qualche volta ho detto al Signore: "Signore, se per convertirli c'è bisogno d'una sferzata, dalla pure, purché si salvino"».

In una letterina del 9 marzo 1902 al compagno «buono e caro Luigino», il suo programma: «Io voglio essere amico con tutti».