CAPITOLO II

FRA PIO

Non vi è nulla di più personale e di più libero, libertà «forse la più difficile, ma certo la più bella» (Paolo VI), della vocazione sacerdotale e religiosa.

È una voce misteriosa che il Signore può far sentire a tutti, ma sono i giovani che Gesù di preferenza sceglie e chiama.

Oggi problema «gravissimo» nella Chiesa e non soltanto dei pochissimi eletti ad un genere di vita così singolare e non certo di moda, ma di tutti.

«Ti ha chiamato e va'»

I genitori di Francesco non ostacolarono la vocazione del figlio e diedero a Dio «la parte di Dio».

Il giorno dell'Epifania 6 gennaio 1903, ricevuta la benedizione ed una corona del santo Rosario dalla mamma, Francesco parte per il noviziato.

«Mamma — è lo stesso padre Pio che racconta — al momento di salutarmi mi preme le mani e mi disse: "Figlio mio, tu mi stracci il cuore!... Ma in questo momento non pensare al dolore di tua madre: san Francesco ti ha chiamato e vai!"».

Non meno doloroso fu il distacco di Francesco dai suoi, ai quali si sentiva fortemente legato, nonostante le visioni celesti rendessero generosamente forte l'anima nel dare l'ultimo addio al mondo.

Il buon seme e il terreno fertile

Dalla stessa penna di padre Pio sappiamo che egli «aveva sentito sin dai più teneri anni forte la vocazione allo stato religioso»; ed il Signore per non far soffocare «il buon seme della divina chiamata», favorì la sua anima di una visione, che gli delineava anche il suo futuro programma di vita.

Coll'«occhio dell'intelligenza» si vide al suo fianco un uomo maestoso di rara bellezza, che lo prese per mano e gli disse: «Vieni con me, perché ti conviene combattere da valoroso guerriero», conducendolo in uno spaziosissimo prato, popolato da una moltitudine di viventi, divisi in due schiere opposte: da una parte uomini bellissimi, dall'altra volti di aspetto orrido, in mezzo un grande spazio, ove la guida conduce la sua anima, spaventata alla comparsa di un gigante contro cui la povera creatura deve azzuffarsi: «Fatti animo — incita la guida —; entra fiduciosa nella lotta, avanzati coraggiosamente, che io ti starò d'appresso; io ti aiuterò e non permetterò che egli ti abbatta. In premio della vittoria che ne riporterai ti regalerò una splendida corona».

Il significato della simbolica visione, non appreso chiaramente, venne manifestato con un'altra «puramente intellettuale», pochi giorni innanzi alla sua entrata in noviziato.

Nel giorno della Circoncisione (1 gennaio 1903) dopo la comunione, l'anima di Francesco «fu istantaneamente investita di luce soprannaturale interiore», e «fulmineamente» comprese che la sua vocazione religiosa sarebbe stata una lotta continua «con quel misterioso uomo d'inferno»; e comprese ancora che il nemico contro cui doveva combattere era terribile, ma «non doveva temere, perché lui stesso, Gesù Cristo, figurato in quell'uomo luminoso che l'aveva fatto da guida, l'avrebbe assistito e sempre le sarebbe stato vicino per aiutarla e premiarla in Paradiso per le vittorie che ne avrebbe riportato, purché, affidata a Lui solo, avesse combattuto con generosità».

Un perfetto cappuccino

Francesco bussò alla porta del convento cappuccino di Morcone, distante da Pietrelcina circa 30 chilometri, il 6 gennaio 1903.

Il padre maestro dei novizi, Tommaso da Monte Sant'Angelo (1872-1932), che in modo particolare deve aiutare il postulante a muoversi nell'ignoto schema della nuova vita, lo dispone ad una buona settimana di riflessione per una giusta visuale delle cose, durante la quale si conversa solo con Dio e con nessun altro.

Terminati gli esercizi spirituali, il 22 gennaio dello stesso anno 1903 Francesco vestì l'abito del novizio cappuccino e si chiamò fra Pio da Pietrelcina.

Delicatamente composto nel «bel saio cappuccino», fra Pio — nome oggi famoso in tutto il mondo — ben presto si accorge che quei frati «non scherzano».

Con quali propositi entrò in convento e con quale impegno fra Pio visse l'anno di noviziato? Ce lo dice lui stesso in una lettera autobiografica del 1922 e ce lo raccontano i suoi compagni di noviziato.

Il Signore faceva intendere al quindicenne Francesco che per lui «il posto sicuro, l'asilo di pace era la schiera della milizia ecclesiastica. E dove meglio potrò servirti, o Signore, se non nel chiostro e sotto la bandiera del poverello di Assisi? (...). Oh Dio! fatti sempre più sentire al povero mio cuore e compi in me l'opera da te incominciata (...). Che Gesù mi faccia la grazia di essere un figlio meno indegno di san Francesco; che possa essere di esempio ai miei confratelli, in modo che il fervore continui sempre più in me, da far di me un perfetto cappuccino».

Era un fratino «esatto in tutto» — afferma, ammirato, un novizio coetaneo di fra Pio; il suo amore alla preghiera era di una «prontezza e disinvoltura ammirevoli»; la meditazione sulla Passione era accompagnata da «copiose lacrime» e la giornata da «numerose giaculatorie»; la Madonna riceveva continui segni di affetto dal fervente novizio, che osservava con diligenza il silenzio per parlare meglio con Dio; lo stesso padre maestro lo giudica «un novizio esemplare, puntuale nell'osservanza in tutto» ed «a tutti di modello».

La mattina del 22 gennaio 1904 fa la sua professione semplice, promettendo a Dio di vivere in obbedienza, senza proprio e in castità.

A cerimonia avvenuta, mamma Peppa abbraccia fra Pio, lo bacia e gli dice: «Figlio mio, adesso sì che sei figlio tutto di san Francesco; e che ti possa benedire!».

Studente malaticcio

La mattina del 25 gennaio 1904, assieme al compagno di noviziato fra Anastasio da Roio (1886-1947), con il padre provinciale Pio da Benevento (1842-1908), partono per il «professorio» di S. Elia a Pianisi (Cb) per iniziare la «rettorica», cioè il ginnasio e poi la «filosofia», ossia il liceo.

Terminato il corso ginnasiale (anno quarto e quinto), promosso in filosofia, dopo la metà di ottobre 1905, fra Pio parte temporaneamente assieme agli altri chierici per S. Marco la Catola (Fg) ed in questa nuova sede trova padre Benedetto da S. Marco in Lamis, che diventa suo direttore spirituale sino al 1922.

Alla fine di aprile 1906 lo studio torna a S. Elia a Pianisi per continuare il corso filosofico e il 27 gennaio 1907 fra Pio emette la professione dei voti perpetui.

Alla fine di ottobre dello stesso anno 1907 viene trasferito a Serracapriola (Fg) per iniziare lo studio della teologia; e verso la fine di novembre 1908 a Montefusco (Av).

Il 19 dicembre 1908 riceve gli ordini minori e due giorni dopo (21 dicembre) il suddiaconato.

Nel 1909 viene condotto a Pietrelcina presso la famiglia, perché malato ed i medici consigliano aria nativa.

Dimorò per breve tempo anche nel convento di Gesualdo (Av) per studiare teologia morale, che poi continuò a Pietrelcina, sotto la guida di un bravo e dotto sacerdote del paese.

Dalla testimonianza stessa di padre Pio, da chi gli è stato a fianco come compagno di studi e come docente, da chi frequentava le chiese cappuccine e da domande audacemente indiscrete, sappiamo che durante gli anni di studentato nella vita di fra Pio succede dell'ordinario e dello straordinario.

Destava un senso di ammirazione per il «comportamento esemplare»; «ragazzo com'ero, non m'intendevo di virtù, ma notavo in lui qualche cosa che lo distingueva dagli altri chierici. Per me spiccava, anche se nulla di straordinario notavo in lui». La sua persona era veramente bella, «ma bella di volto e di compostezza», e questo lo aveva notato anche fra Camillo cercatore che quando da Morcone andava per la questua a Pietrelcina, «sentiva da zia Peppa (la madre di fra Pio), che gli diceva: "fra Camì, stu uaglione li mma fa munaciello"».

Il popolo che frequentava la chiesa cappuccina di S. Elia a Pianisi ed il clero locale notarono anch'essi che «quel chierico» si distingueva dagli altri per «modestia, mortificazione e grande pietà».

Il coro dei condiscepoli e docenti è unanime: «ci rivelava il suo affetto coi tratti abituali della sua bontà ed affabilità». Viveva la vita di fraternità come tutti gli altri chierici, prendeva parte con giovialità alle comuni ricreazioni, alle passeggiate settimanali ed alle gite scolastiche.

«Di ingegno comune»; «non si distingueva per ingegno, si distingueva nel portamento. Fra i condiscepoli allegri e chiassosi, egli era quieto e calmo, anche durante la ricreazione; sempre umile, mite obbediente».

Stimato, voluto bene, ma non godeva, allora, «fama di santo», perché scoprivano in lui «niente di straordinario o soprannaturale».

Quiete e raccoglimento furono abituali e si diceva «che aveva il dono delle lagrime»; in tempo di meditazione e specie dopo la santa comunione ne versava tante da formare sul pavimento di legno «un fossetto» e, costretto a parlare: «Piango — disse — i miei peccati e i peccati di tutti gli uomini».

Da risposte dello stesso padre Pio a domande audaci di padre Agostino da S. Marco in Lamis, suo direttore spirituale assieme a padre Benedetto, sappiamo che «Gesù cominciò a favorire lo sua povera creatura (cioè fra Pio) delle celesti visioni (...) non molto dopo del noviziato».

E a S. Elia a Pianisi gli successe anche un fatto molto strano ed un altro insolito.

Il fatto strano accadde in una notte d'estate del 1905: mentre, dopo la preghiera notturna del breviario, fra Pio ritiratosi nella stanzetta recitava il Rosario, «con terrore — è lui stesso che racconta — dalla porta vidi entrare un grosso cane, dalla cui bocca usciva tanto fumo. Caddi riverso sul letto e udii che diceva: "è iss, è isso" (è lui, è lui). Mentre ero in quella positura, vidi l'animalaccio spiccare un salto sul davanzale della finestra, da qui lanciarsi sul tetto di fronte, per poi sparire».

Il fatto insolito: «Giorni fa mi è accaduto un fatto insolito: mentre mi trovavo in coro con fra Anastasio, erano circa le ore 23 del 18 mese scorso (gennaio 1905), quando mi trovai lontano in una casa signorile, dove il padre moriva, mentre una bambina nasceva. Mi apparve allora Maria santissima che mi disse: "Affido a te questa creatura; è una pietra preziosa allo stato grezzo, lavorala, levigala, rendila il più lucente possibile, perché un giorno voglio adornarmene...".

"Come sarà possibile, se io sono ancora un povero chierico e non so se avrò la fortuna e la gioia di essere sacerdote, come potrò pensare a questa bimba, essendo io molto lontano da qui?".

La Madonna soggiunse: "Non dubitare, sarà lei che verrà da te, ma prima la incontrerai in san Pietro...".

Dopo di ciò mi sono ritrovato nuovamente in coro».

Il «fatto insolito» fu messo in carta da fra Pio nel mese di febbraio 1905.

L'orfana e la vedova si trasferivano a Roma. Nel 1922 l'orfana, signorina diciottenne studentessa di Liceo, fu confessata da padre Pio, recatosi in bilocazione nella basilica di san Pietro.

Nelle vacanze estive del 1923, recatasi a S. Giovanni Rotondo, si sentì dire da padre Pio: «Io ti conosco, sei nata il giorno in cui morì tuo padre (...). Tu già mi conosci. Mi hai avvicinato l'anno scorso nella basilica di san Pietro (...). Sei stata affidata alle mie cure dalla Madonna».

L'orfana dopo il matrimonio, tornò più volte a S. Giovanni Rotondo e quattro giorni prima della morte di padre Pio si confessò da lui e sentì dirsi: «Questa è l'ultima confessione che fai con me. Ora ti do l'assoluzione di tutti i peccati commessi dall'uso della ragione fino a questo momento». «Perché, Padre?». «Già te l'ho detto che non posso più confessarti, perché me ne vado».

* * *

La vocazione sacerdotale e religiosa è un «invito misterioso, se davvero è una chiamata che viene da Dio»; voce che dice: «Venite!...», e che passa come un vento profetico sopra la testa degli uomini; tutti i giovani di cuore generoso devono interrogarsi, per sapere se il Signore Gesù non «stia parlando proprio al loro cuore».

Francesco si interrogò e cooperò alla chiamata divina. Egli stesso dice di «aver sentito sin dai più teneri anni forte la vocazione allo stato religioso», ma con il crescere degli anni deve lottare contro «il falso diletto di questo mondo», che cerca di soffocare «il buon seme della divina chiamata».

L'anima del fortunato adolescente fu riempita di coraggio, che il Signore infonde nel cuore di tutti i ben disposti, e rispose alla chiamata divina, con l'impegno costante di far di sé «un perfetto cappuccino».

Alla generosità del figlio corrispose la pronta collaborazione dei genitori: «Che farete voi (sposi cristiani), qualora il Maestro divino venisse a domandarvi la parte di Dio, cioè l'uno o l'altro dei figli o delle figlie, che egli si sarà degnato di accordarvi, per formare il suo sacerdote, il suo religioso o la sua religiosa? (...). Ve ne supplichiamo in nome di Dio: no, non chiudete allora in un'anima, con gesto brutale ed egoistico, l'ingresso e l'ascolto della divina chiamata» (Pio XII).

I genitori di Francesco non ostacolarono nell'animo del figlio l'ingresso all'ascolto della divina chiamata: diedero a Dio «la parte di Dio», come più tardi lo fecero per una figlia entrata fra le brigidine.