TESTIMONIANZE

Tre Rosari

Come si contano le ore e i chilometri

Apparizione al dottor Cardone

Gesù Bambino

Un tenero affetto per i confratelli

(Dal libro: Padre Pio, mio padre)

Padre Pio e il Rosario

Non lasciava mai la corona dalle mani e i grani dalle dita.

Incuriosito, chiesi un giorno a padre Pio: «Padre, quanti Rosari dite al giorno?». «Da quindici a venti interi», rispose.

E io: «Come fate? Certamente pregate anche la notte?». «E sì», replicò il Padre. «Con le litanie?», continuai. «No, senza: se no, non mi sbrigo più».

Da quel giorno anch'io cominciai a recitare tanti Rosari.

Da solo, però, mi stanco; in compagnia, non mi stanco mai.

Padre Pio e la preghiera per gli altri

Alla porta che dal corridoio della portineria conduce al refettorio, una donna gridò: «Padre, pregate per me!». Padre Pio subito rispose: «Io prego per te, ma tu pure devi pregare per te».

Poi, girandosi verso di me, che gli ero a fianco, disse: «È vero, Pierì? Prima ognuno deve pregare per sé e poi chiedere preghiere agli altri».

E io, sorpreso di essere diventato suo interlocutore, mi affrettai subito a confermare: «È proprio così!».

Imparai la lezione. Prima devo pregare per me e poi potrò chiedere agli altri di pregare per me.

Padre Pio pregava sempre. Dormiva molto poco. Egli stesso mi disse una volta: «La notte non dormo, prego».

Padre Pio e il cibo

Mangiava pochissimo.

Un pomeriggio padre Pio era nel corridoio del convento col nipote Mario. Questi aveva attorno a sé i suoi figlioletti che il Padre guardava teneramente.

Puntando il dito su uno di essi, scherzosamente il papà lo accusava: «Zio, questo è un mangione».

«Perché?» chiese il Padre. «Oggi si è mangiato un filone di pane lungo e grosso così», spiegò Mario.

Padre Pio sorrise. Poi domandò: «Quanto pesava?». «Certamente mezzo chilo», rispose il nipote.

Il Padre rimase un po' a pensare, poi disse: «In quarant'anni», padre Pio ne aveva oltre sessanta, «io non sono riuscito a mangiare nemmeno la metà di quel filone di pane».

Io mi trovavo a fianco a Mario; ci guardammo e sembravamo dirci l'uno all'altro: «Ma come fa a vivere senza mangiare?».

Negli anni Cinquanta riuscii a portare una cassetta di uva bianca, grossa e profumata.

Era uva da terra promessa.

Entrai nella cella del Padre il quale, vedendomi con la cassetta, mi chiese: «Che è?». «Padre», dissi, «vi ho portato quest'uva», e mi inginocchiai davanti. Egli la guardò: «È davvero bella!», esclamò.

«Assaggiatela!» ripresi e, subito, staccai un bell'acino da un grosso grappolo: pensavo fargli cosa gradita porgendogli l'acino più biondo e grosso.

«Che fai?», disse, fermandomi la mano: «Figlio mio, tu così mi fai fare colazione, pranzo e cena. Dammi l'acino più piccolo!».

Io ne scelsi, invece, uno meno grosso, ma lui, girando più volte la mano sui grappoli d'uva e trovandone finalmente uno piccolo piccolo, lo staccò, se lo portò alla bocca e, con fatica, lo masticò per diverso tempo.

Padre Pio e il barbiere

Ogni pomeriggio padre Pio confessava solo gli uomini.

Dopo averne confessati alcuni, gli si presentò uno, sulla quarantina, col quale stette a parlare un po' di più. A un tratto sentii il Padre scandire con chiarezza: «O vai via tu o me ne vado io!».

Mi trovavo sotto lo stipite della porta della sacrestia in attesa del turno, feci qualche passo in avanti e, purtroppo, vidi padre Pio che, con evidente amarezza, si alzava per andar via.

Mi avvicinai subito a lui per salutarlo, quando, di scatto, girò il capo, mi guardò e mi fece cenno con l'occhio di badare a quel poveretto che era rimasto ancora in ginocchio.

Non proseguii più verso il Padre, per baciargli la mano, mi accostai subito a quell'uomo e mi accorsi che si abbandonava fra le mie braccia. Stava per svenire.

Lo abbracciai, lo incoraggiai un po' e, camminando insieme, a stento riuscii a trascinarlo via.

Naturalmente conoscevo solo il finale del colloquio, ma non la materia della confessione.

Mi disse affannato: «Sto male. Padre Pio mi ha cacciato perché non vado a Messa. Gli ho spiegato che sono un barbiere. La domenica lavoro e non posso andare a Messa. Lui mi diceva di far di tutto per andare a Messa e io insistevo che non ci potevo andare. Alla fine, si è alzato e se n'è andato. Mi sento male!».

Cominciai dolcemente a calmarlo, per farlo riflettere un po'. Mi sforzai di fargli capire la gravità del peccato non solo, ma ancor più la resistenza a non cambiare comportamento.

«Non poteva padre Pio accettare le tue scuse», gli dissi, «che, purtroppo, tendevano a radicalizzare il tuo modo sbagliato di agire, senza per nulla dar segno di ravvedimento e di proposito di cambiare. Il gesto energico del Padre aveva lo scopo di scuoterti sia per farti prendere coscienza della gravità del peccato sia per indurti a trovare, a qualsiasi costo, la soluzione del fatto».

Il barbiere capì subito. Ragionando insieme, egli arrivò alla conclusione di aprire, in giorno festivo, un'oretta più tardi il negozio da barbiere, per poter ascoltare la S. Messa al mattino presto.

La conclusione fu poi da lui presentata al Padre che, amabilmente, lo assolse.

«Senza questa botta non avrei mai capito l'importanza della Messa e, tanto meno, mi sarei deciso di fare qualche sacrificio per andare ad ascoltarla», mi disse quell'uomo mentre partiva.

Padre Pio e il medico

Un giorno vidi un uomo che piangeva. Mi avvicinai e gli chiesi: «Perché piangi?». «È la settima volta che il Padre, sgridandomi, mi caccia via. Non ce la faccio più. Mi voglio ammazzare!».

«Un motivo ci sarà», dissi subito.

«Io sono un medico» chiarì, «sin dalla prima confessione padre Pio mi cacciò perché non solo commettevo atti impuri, ma non riuscivo neppure a promettere di non farli più. Era più forte di me. Impazzivo. Volevo morire. Avrei voluto andarmene, ma non ci riuscivo. Ora, lontano da lui sto male; se gli sto vicino, mi caccia. Voglio morire, non voglio più vivere!».

«Senti, dottore, non disperarti» risposi, «ora vado dal Padre e gliene parlerò. Preghiamo, intanto».

Il medico mi trattenne bruscamente: «No! Ascolta. L'ultima volta in cui mi sono presentato dal Padre in confessione, di fatto mi ha dato l'assoluzione. Però mi ha detto: "Amico mio, questa volta ti do l'assoluzione a patto che, fra quindici giorni, quando tornerai a confessarti, non avrai fatto più nessun peccato brutto. Diversamente, non venire mai più da me".

Felice che padre Pio, finalmente, mi stava per dare l'assoluzione, accettai la proposta. Ebbi l'assoluzione. Qualche giorno dopo, però, peccai di nuovo. A casa non riuscivo a stare. Qui tremo al solo pensiero di presentarmi al Padre.

Ho tentato, di nascosto, di infilarmi nel convento con gli altri, ma egli appena mi ha visto, senza che gli dicessi nulla, mi ha cacciato così duramente che la gente è rimasta molto turbata.

Qualcuno, in verità, si è messo dalla mia parte. Io, per vergogna, non ho spiegato a nessuno la mia situazione, lasciando così, purtroppo, interpretare male il modo di agire del Padre.

Intanto mi sentivo schiacciato da una duplice vergogna: quella della bruttura del peccato e quella di essere stato cacciato pubblicamente.

Inoltre, sono rimasto convinto che nel Padre davvero viveva Cristo. Infatti, senza dirgli nulla, mi ha letto nel cuore e ha mantenuto il patto, cacciandomi.

Volevo verificare se davvero fosse un uomo di Dio. Ora mi sento morire: ho avuto prova che è un santo, che mantiene la parola e che non mi resta nulla da fare, se non scomparire. Io non voglio andarmene, mi voglio ammazzare!».

Dopo averlo attentamente ascoltato: «Va bene!» risposi, «ora lasciami andare».

Andai dal Padre e gli riferii tutto. «Preghiamo tanto la Madonna», mi disse.

Io, nel pomeriggio, partii. Dopo qualche settimana tornai a S. Giovanni Rotondo e vidi quel medico, una volta disperato, ora così sorridente e felice, venirmi incontro, con le braccia aperte, per abbracciarmi.

Padre Pio e il funzionario del Ministero

Mi trovavo sul piazzale davanti alla chiesetta e un uomo mi si avvicinò: «Reverendo, per favore, vorrei parlarti», disse.

Ci appartammo e mi fece presente la penosa situazione in cui versava. La moglie, affetta da un tumore maligno al petto, aveva pochi giorni di vita.

I medici, e ne aveva interpellati tanti, l'avevano definitivamente dimessa. Ogni cura sospesa, solo qualche farmaco, per lenire i dolori, le veniva ancora somministrato.

«La scienza» mi diceva, «non può più nulla; mia moglie mi ha supplicato di portarla qui, a S. Giovanni Rotondo. Io, però, non credo», soggiunse, «sono ateo: sono un 33 della massoneria; mi chiamo Giovanni Confetto, sono direttore, sezione pensioni, del Ministero del Tesoro, a Roma. Reverendo, ti prego di parlare di mia moglie al Padre. Per correttezza digli pure che io non credo e che sono un massone». «D'accordo, farò e dirò così», risposi, senza perdere tempo.

Lo invitai a seguirmi, perché il Padre, terminate ormai le confessioni delle donne, sarebbe subito passato lungo il corridoio per ritirarsi in cella.

Riuscimmo a raggiungerlo, si trovava vicino alla cella numero 5, eravamo soli: il Padre, il direttore e io.

Subito mi accostai e dissi: «Padre, questo signore ha la moglie ammalata di tumore grave. Vi chiede di pregare, però mi ha detto di farvi sapere che è ateo e massone».

Padre Pio, dolcemente, rispose: «Come posso parlare con Gesù, se non crede che esiste? Prima egli deve credere a Gesù e poi io gli parlerò di sua moglie».

Il direttore aveva perfettamente capito. Salutammo il Padre e, per le scale, lungo tutto il percorso, fino a quando non ci congiungemmo alla moglie inferma, che era in attesa sul piazzale, sollecitavo quel signore a desistere dalla sua incredulità, per lo meno per salvare sua moglie.

In verità egli rimase turbato e pallido. Mi confidò: «Vorrei fare come tu mi dici, ma non ne ho la forza. Ho qualcosa dentro che non mi lascia parlare. Ci proverò un altro momento».

Salutai lui e la moglie e partii da S. Giovanni Rotondo.

Tre mesi dopo lo rividi sul piazzale, mi avvicinai e, timidamente, pensavo fosse in lutto, gli chiesi:

«E tua moglie?». «È guarita!», rispose con tanta felicità. «Allora tu... ti sei confessato?». «E sì! Quindici giorni dopo il nostro colloquio col Padre sono ritornato solo. Vedevo morire lentamente mia moglie e impazzivo al pensiero che, tornando io a credere, avrei salvato lei e me. Mi decisi e venni a confessarmi. Poi dissi al Padre: "Io ora credo, volete dire al Signore qualcosa per mia moglie che muore?". "Sì", rispose. Tornai a casa, mia moglie stava meglio. Andammo dal medico il quale, stupito, non finiva più di gridare al miracolo. Ed ora eccoci qua a ringraziare il Padre».

I nostri occhi, oramai, luccicavano, erano pieni di lacrime.

Vidi la moglie che, sorridente, veniva verso di noi. Nascondendo dentro di me il pianto, le dissi con gioia: «Auguri, signora!». «Grazie!» rispose, «grazie per quello che avete fatto per me».

Il Padre era stato tanto buono da guarire non solo la sposa dal tumore, ma anche lo sposo dall'incredulità.

La vigilia dell'Assunzione

Era il 14 agosto 1958, vigilia dell'Assunzione.

All'imbrunire mi trovavo ancora nel convento e avevo già salutato padre Pio. Mi accingevo a dare la buona notte al Guardiano, padre Carmelo da Sessano, quando questi, uscito dalla sua cella, mi venne incontro incitandomi a recarmi con lui nella cella del Padre per chiedergli un pensierino sulla Madonna.

Il Padre Guardiano entrò e io dietro di lui.

Padre Pio era seduto su di una poltrona, con la corona del Rosario in mano. «Padre Spirituale» chiese il Guardiano; «domani è l'Assunta, diteci un pensierino».

Padre Pio abbassò il capo e incominciò a singhiozzare e, a tratti, prese a dire: «La Madonna...». Il singhiozzo diventò pianto; poi, con sforzo, riprese: «La Madonna...».

Forti fremiti fecero sussultare tutto il Padre che continuò a piangere. «La Madonna», ripeté per la terza volta, «è la Mamma nostra!».

Un pianto dirotto e irrefrenabile scosse il Padre il quale, a stento, riuscì a prendere il fazzoletto per asciugarsi le lacrime che, oramai, avevano bagnato tutto il suo viso.

Non ebbe nemmeno il tempo e la forza di asciugarsi, tanto le lacrime erano incalzanti e continue. Egli allora abbandonò le mani sulle ginocchia e, piangendo, gridava: «La Madonna è la Mamma nostra, la Madonna è la Mamma nostra».

Io ero in ginocchio davanti a lui. Poggiai le mani sulle sue ginocchia e sussultavo con lui. Non me ne accorsi se piansi, ma certo mi sentii morire.

Il Guardiano subito intervenne: «Padre, grazie, ma non piangete».

Padre Pio piangeva ancora. Allora il Guardiano, con voce forte e accorata, disse: «Padre, per favore, non piangete più, ci sentiamo morire!».

Io mi avvicinavo sempre più alle ginocchia del Padre che tremava. Poi, ecco, dolcemente finì di piangere.

Ancora pochi sussulti. Gli baciammo la mano, ci benedisse e, allontanandoci dalla cella, ci sentivamo tanto bruciare il cuore d'amore alla Madonna, da dirci l'uno all'altro: «Io non riesco a contenere il fuoco d'amore alla Madonna che il Padre mi ha messo nel cuore. Abbiamo chiesto una parola ed egli ci ha donato un fuoco d'amore».

Padre Pio alla mia Ordinazione sacerdotale

Prima della mia Ordinazione sacerdotale mi recai a S. Giovanni Rotondo. Comunicai subito al Padre il giorno dell'Ordinazione e il motivo della scelta: il 2 luglio 1950, festa della Madonna delle Grazie, titolare del Santuario e del Convento dei Cappuccini di S. Giovanni Rotondo. Era anche la dimora del Padre e il luogo dove egli viveva la sua missione e generava nuovi figli a Dio e alla Chiesa.

Il mio sacerdozio è dono di Dio e frutto delle lacrime del Padre.

Mi confessai, ci abbracciammo e, dopo avermi fatto gli auguri, gli chiesi di venire ad assistere al sacro rito. Immediatamente rispose: «Sì!».

La confessione, l'abbraccio e la promessa mi riempirono il cuore di gioia.

Finalmente arrivò il 2 luglio 1950. Suonavano le ore 9.30, ero prostrato per terra dinanzi all'altare, quando sentii il forte profumo del Padre. Continuai a sentirlo ininterrottamente durante tutta la celebrazione della liturgia. Mai così a lungo.

Mi sentivo felice di donargli, con la vita, anche il mio sacerdozio.

Celebrata in paese la prima Messa solenne, il giorno dopo mi recai a S. Giovanni Rotondo. Appena vidi il Padre mi avvicinai e, baciandogli la mano, dissi: «Padre, sono sacerdote!».

Egli subito mi prese le mani, me le baciò e mi abbracciò. E io continuai: «Grazie, Padre, di essere venuto!». E lui guardandomi rispose: «E non sei contento?».

Padre Pio e i miei nonni

Quando tornavo da S. Giovanni Rotondo, la sera raccontavo alla mamma tante cose di padre Pio. Mi aspettava apposta per sentirmi. Ella aveva un amore particolare per suo padre: era morto giovane, per una caduta e con tanta, penosa sofferenza.

Mi disse: «La prossima volta devi chiedere a padre Pio dove stanno mio padre e mia madre. Guai a te, se te ne scordi!».

Passò appena un mese e tornai a S. Giovanni Rotondo. Incontrai il Padre, ma non dissi nulla. In confessione, invece, ebbi la possibilità di chiederglielo: «Padre, mia madre vuole sapere da voi dove si trovano i suoi genitori». E lui, con dolcezza, mi rispose: «Figlio mio, di' alla mamma che stanno in Paradiso».

Ritornato a casa, riferii alla mamma la risposta ricevuta da padre Pio. La gioia era grande.

Mio padre, presente al racconto, si inquietò tanto con me, da rimproverarmi: «E ti pare giusto che tu domandi a padre Pio dei genitori di tua madre, senza chiedere nulla dei miei? La prossima volta, se non domandi a padre Pio anche dei miei genitori, è meglio che non ti presenti a casa».

Io mi sforzai di rasserenare mio padre, assicurandogli di chiedere al più presto notizie al Padre.

Dopo alcuni mesi fui di nuovo a S. Giovanni Rotondo. Mi confessai dal Padre e in confessione gli chiesi: «Padre, mia madre vi ringrazia tanto della bella notizia riguardante i suoi genitori, ma mio padre è arrabbiato e vuole sapere pure lui dove stanno i suoi genitori».

Padre Pio rispose: «Stanno in Paradiso pure loro. Ora, figlio mio, cerchiamo di andarci anche noi». «Grazie, Padre», risposi.

Di ritorno da S. Giovanni Rotondo, subito, dopo averlo salutato, riferii a mio padre la risposta di padre Pio: «Stanno in Paradiso pure loro». Mio padre pianse.

Io non ho conosciuto nessuno dei nonni. Ero felice, però, di poterli vedere, un giorno, in Paradiso.

Risposta alla madre di un disperso in Russia

Nel 1947 le madri italiane attendevano ancora i figli dichiarati dispersi in Russia. Dai campi di concentramento non trapelava nessuna notizia.

Il ritorno in Italia di qualche disperso, scampato miracolosamente alla morte, riaccendeva la speranza nel cuore di tante madri e spose.

Padre Pio era già conosciuto in Italia e all'estero.

A decine le madri venivano ogni giorno a S. Giovanni Rotondo da tutta l'Italia, per chiedere al Padre notizie dei propri cari.

Molte volte al giorno ero mandato a domandare al Padre della sorte di tanti dispersi. Padre Pio di ciascuno mi dava la risposta, che poi riferivo ai familiari.

Una madre, in lacrime, mi supplicava: «Chiedi a padre Pio di mio figlio: è vivo?». Glielo domandai; e il Padre, con le lacrime agli occhi, rispose: «Di' alla madre che io stesso l'ho accompagnato in Paradiso».

Riferii la risposta e la madre dapprima scoppiò in un pianto irrefrenabile, poi, pian piano, si rasserenò e attese per ringraziare e baciare la mano al Padre che passava.

Risposta riguardo a una donna deceduta

Una giovane madre era improvvisamente deceduta. I familiari mi pregarono di chiedere di lei a padre Pio.

Appena riuscii a recarmi a S. Giovanni Rotondo, in confessione chiesi: «Padre, una giovane madre è morta improvvisamente; si è salvata?».

Il Padre mi domandò: «Andava a Messa?». «No», risposi. E lui: «E come può essersi salvata?».

La proroga

Una telefonata urgente di un distinto signore di Martina Franca mi pregava di recarmi con lui a S. Giovanni Rotondo: la moglie era affetta da un grave tumore al petto.

Partimmo il pomeriggio dello stesso giorno. Giunti la notte, ci alzammo al mattino presto per avvicinare padre Pio subito dopo la S. Messa.

Non riuscii a parlargli al mattino. Al pomeriggio, in veranda, dopo avergli baciato la mano, gli chiesi: «Padre, una signora di Martina Franca, affetta da tumore, ha i giorni contati e vi chiede di pregare per lei».

Il Padre guardò in alto, poi, con un gesto della mano accompagnò le parole: «E va bene! Il Signore le concede una proroga».

Io, felice, tornai e riferii al marito il senso e non le parole precise della risposta positiva. Per la gioia mi regalò un quadro di padre Pio che ancora conservo.

Esattamente nove anni dopo, una telefonata urgentissima da Martina Franca mi avvertiva dell'improvvisa ricomparsa e aggravamento del male.

Corsi in fretta dal Padre, riuscii ad avvicinarlo e, senza perdere tempo, gli dissi lo scopo della mia visita: «Padre, quella signora di Martina Franca è tornata a star male». Padre Pio, con dolcezza, mi rispose: «Io diedi una proroga, non la guarigione definitiva».

Tornai e riferii ai familiari: «Padre Pio prega per l'inferma».

Ma io sapevo il resto. Dopo meno di un mese la signora morì.